venerdì 25 febbraio 2011

Paperino va alla guerra


Cartoni animati e immagini di guerra. Niente di più antitetico penserete. E in effetti è davvero così. Ma proprio in virtù di questa semplice quanto oggettiva premessa, Max Papeschi ha fondato il suo stile e, diciamocelo, anche la sua fama e la sua fortuna.

Papeschi nasce come regista teatrale e cinematografico e approda al mondo dell’arte (della digital art) in maniera quasi casuale (in un’intervista lui stesso dice che serve sì l’ispirazione, ma “senza un po’ di culo non si va da nessuna parte”, testuali parole). Ovvio, però, che occorre anche una buona idea, che possa far arrivare alle persone quello che si vuole esprimere. E il modo che l’artista sceglie per ottenere ciò è l’irriverenza, l’ironia, il politicamente scorretto. Prendendo dunque i personaggi dei cartoni e dei fumetti (quelli del mondo Disney, ad esempio e in particolar modo, o i Muppets), o comunque i classici simboli del “bene”, Papeschi li catapulta in una dimensione completamente diversa dalla loro abituale e li associa a immagini di guerra e di violenza, o a personaggi “scomodi”, che hanno caratterizzato l’epoca moderna e contemporanea. Così Mickey Mouse diventa un nazista, Paperino un soldato, Duffy Duck un comunista russo, Ronald McDonald combatte a Baghdad. L’effetto che si ottiene è sbalorditivo, sconvolgente, volutamente provocatorio, ma di sicuro impatto, e trasforma radicalmente un simbolo rassicurante (i cartoni appunto), rendendolo esempio dei vizi e delle brutture dell’essere umano di oggi.

Le opere di Papeschi ora tornano a Roma, dal 26 febbraio al 3 aprile, alla Mondo Bizzarro Gallery, per la mostra “A LIFE less Ordinary”. Un’esposizione in cui l’artista presenta una serie di immagini che prendono come spunto grafico la rivista LIFE e ci raccontano, sempre a suo modo, la storia degli ultimi 25 anni. Qui troverete sicuramente più informazioni sull’evento http://mondobizzarrogallery.com/home.asp.

Quelli di Max Papeschi sono sicuramente dei lavori discussi (per alcuni discutibili), a volte al limite della censura, ma se questo serve a far riflettere i più (forse l’utilizzo di immagini pop è dovuto anche a questo), beh, ben venga.

The Brown

mercoledì 23 febbraio 2011

Winter's Bone: Un Gelido Inverno



Altro piccolo consiglio cinematografico della settimana.
Winter's Bone, tradotto da noi col titolo Un Gelido Inverno, piccola perla della cinematografia indie made in U.S.A e vincitore al Festival di Torino, al Sundance e pure al Festival di Berlino nella sezione Forum.
La storia vede come protagonista la diciasettenne Ree Dolly alla ricerca del padre, o di quel che ne resta, per poter mantenere in piedi la sua famiglia. Winter's Bone è uno di quei film che devi aspettare fino alla fine per poterlo comprendere, facendoti incastrare dalle immagini e dalle sequenze una piu cruda (e crudele) dell'altra. Un film che pesa e che sicuramente impressiona ma in modo sottile e poco marcato. La piccola Ree (Jennifer Lawrence) vive in una realtá poco amabile, ma questo fondamentalmente non la tocca. Si ha per tutta la durata della visione la netta sensazione che quello che vediamo sia già conosciuto agli occhi di Ree, sia giá dato per scontato. La crudeltà dell'intorno è metafora di quella interna alla protagonista che viene descritta come fosse una giovane e imapavida guerriera. Ma lo scioglimento è dietro l'angolo e si visualizza attraverso le lacrime e attraverso il riconoscimento e la scoperta di una parte rinnegata di sé.
In tutto ció, in una cornice di degrado sociale, l'ambiente naturale la fa da padrone, divenendo singnificante di oscuritá, mistero e paura, sottolinenado una realtà esistente che a volte, troppo spesso, pensiamo non esista.

KinoEye

martedì 22 febbraio 2011

Black Swan




Potremmo semplicemente scrivere usando l'imperativo: andate a vedere Il Cigno Nero!
Però ci sentiremmo in dovere di motivare un ordine del genere. E non che la 20th Century Fox ci paghi, anzi...forse dovrebbe proprio farlo.
Black Swan, Il Cigno Nero, quinta pellicola di quel genio sadico di Aronofsky, fu presentata all'ultima Biennale del cinema di Venezia. Ci furono fischi e pernacchie provenienti dalla stampa italiana, che non si fece scrupolo a lanciare anatemi e a stroncare un'opera che a nostro umile giudizio è un capolavoro. Ok, diciamo subito che abbiamo peccato. Non abbiamo visto The Wrestler (Mickey Rourke ci ha sempre tenuti lontani dalla visione), ma forse proprio per questo motivo riusciamo a prescindere da inutili paragoni visivi e critici.
Si dice che un'opera artistica è autonoma e indipendente da altre opere precedenti dello stesso artista. Il cinema (un certo tipo di cinema) è arte, e quindi seguendo il sillogismo, ogni film è forma d'arte autonoma e independente dalle altre che lo precedeno. Quindi anche Black Swan. Quindi non sussistono paragoni.
Chi si diletta nella massacrante critica negativa a questo film è perchè riporta solo gli errori di una regia, a suo parere superficiale, in confronto a quella espressa in The Wrestler che dicono più corposa e presente. The Wrestler era corporeità, fisicità artistico-cinematografica incentrata sul corpo del protagonista. Ma qui in Black Swan il corpo non c'entra nulla, o meglio c'entra in quanto mezzo per l'evoluzione, per una trasformazione che però trascende la carne perchè è una trasformazione esclusivamente legata alla psyché (l'anima umana in greco).
La storia gira intorno a Nina (splendida Natalie Portman), una giovane ballerina che viene scelta per l'ambito ruolo della regina Odette ne "Il Lago dei Cigni", peccato però che il maestro Leroy (interpretato da Vincent Cassel) la voglia sia come interprete di Odette (il Cigno Bianco che incarna bellezza e purezza d'animo) che di Odile, sosia malvagia di Odette (il Cigno Nero che incarna la seduzione e tutti quegli istinti legati alla sessualità). Questo (e altro, poichè sarebbe riduttivo limitarsi a un solo semplice limite) fa sì che la protagonista cada in un trip allucinatorio e inconscio.

La storia, la sceneggiatura, rasenta la banale semplicità, ma d'altronde il cinema è nato come arte muta, e forse questo film potrebbe anche essere privo di dialoghi, accompagnato esclusivamente dalla musica di Cajkovskji, perchè l'essenza arriverebbe comunque a colpire lo spettatore in sala.
Quello che si vede sullo schermo è la trasformazione dell'inconscio umano, è la crescita di un individuo che ad un tratto si ritrova in delle prigioni di una non-vita esasperata dal raggiungimento della perfezione, dalla presenza di più figure ingombranti che lo esortano a fuoriuscire da un involucro costruito nel mondo dell'Es.
Fondamentalmente è un film sulla crescita, sul raggiungimento di una tappa (forse oseremmo dire dell'età adulta) e dell'attraversamento inconscio che porta a tale raggiungimento, un passaggio fatto di sangue.
In questo film non c'è la corporeità della precedente opera di Aronofsky perchè questo film punta a indagare i moti oscuri dell'animo umano e della mente umana. Se il precedente era terreno questo appartiene all'elemento dell'aria.
Tutto ciò viene giustificato e sottolineato da una scelta basilare: il cigno, significante ( e simbolo in alcune mitologie) di trasformazione e cambiamento (il cambiamento interno della protagonista che si riscontra nel cambiamento corporeo che avviene nel trip allucinatorio vissuto da lei stessa), un volatile, un essere che riesce a dominare il mondo dell'aria.
Potremmo continuare a scrivere, ma preferiamo fermarci qua, per non dover sfociare in un noioso dibattito prettamente filmico. Lasciamo a voi l'ultima parola. E comunque, andate a vedere Il Cigno Nero, merita davvero.

KinoEye


lunedì 21 febbraio 2011

Ma Nicola Formichetti, esattamente, che mestiere fa?



Partiamo da un presupposto: ammiro dal più profondo delle viscere chiunque sappia parlare più di due lingue (specie se una di queste è il giapponese), e che riesce a fare una barca di soldi vendendo aria fritta.
Però davvero, io inizio a interrogarmi sull'apporto dato al pop da Nicola Formichetti, e credo di non essere il solo. Io, come forse qualcuno di voi, non essendo troppo ferrato sul significato della parola "stylist", mi chiedo: ma quale mestiere svolge, esattamente, questo nostro orgoglio tricolore all'estero?
Voglio dire, anche io adoro rispondere cose tipo: "Sono un editor", quando mi chiedono che cosa faccio per guadagnare la pagnotta. E' uno dei must dell'epoca in cui viviamo, buttarla in caciara quando viene posta questa domanda, perché altrimenti bisognerebbe usare termini arcaici e seicento parole per poi arrivare al succo: "Mi faccio il mazzo arrabbattandomi in questo mercato del lavoro di merda, per arrivare a fine mese e pagarmi i cocktail".
Però insomma, io non sono Nicola Formichetti, questo mi pare evidente. Quindi ho cercato di andare oltre l'idea che ho di lui, ossia: un gay sopra la ventina che ha a disposizione una Barbie a grandezza naturale, Lady GaGa.

Copioincollo da uno dei primi risultati su Google digitando il suo nome: "Uno dei più stravaganti artisti visuali del mondo dell’immagine". Che mi fermo un attimo e mi chiedo: che straceppa significa? Continuo a leggere. "Nato in Giappone da padre italiano e madre nipponica, il suo orientamento stilistico si divide per le due nazioni natali. Direttore creativo di Dazed & Confused, fashion director di Vogue Hommes Japan, Fashion Editor di V Magazine e V Man, i suoi progetti sono facilmente distinguibili per il tocco eccentrico e provocatorio di ogni creazione".
Ora, a parte maledire mio padre e mia madre per essere tutti e due de Roma e avermi fatto crescere in un appartamento vicino alla stazione Termini, azzerando le mie possibilità di diventare fashion director di qualsivoglia altisonante magazine, tanto di cappello al Nicola.

"Non ama il concetto di moda dei grandi nomi, di quelli che hanno già fatto storia, ma si fionda continuamente nelle maison dei giovani talenti di nicchia. Questo genere di lavoro è stato evidente, anche ai non lettori di moda, con la sua partner in crime Lady Gaga, l’unica artista che ama vestire, proprio per un incrocio parallelo della concezione d’arte e di umanità".
Ah, e qua ti volevo! Nicola Formichetti e Lady GaGa sono ormai un formidabile duo, che ha drammaticamente (in senso buono) modificato il concetto di immagine nella musica pop.
Basti pensare che fino a qualche anno fa i video avevano perso qualsiasi forma di interesse da parte delle star, e tranne in alcuni casi erano dei meri spottoni su sfondo bianco senza un minimo di regia e zero idee. Stefani Germanotta ha modificato questo trend a partire dal video di Paparazzi, per poi esplodere con Bad Romance e Telephone, e già da allora Formichetti aveva iniziato a occuparsi del suo styling.
GaGa, che diciamocelo si era presentata alla platea internazionale come una scoppiata di quelle gravi, da un certo punto in poi ha scoperto il geniale Formichetti, che le ha regalato quel qualcosa (che da qui chiameremo "Formichetti Factor") in grado di far evolvere la sua follia in arte.

Ora, chi scrive è un fan sfegatato della GaGa, ma ho come l'impressione che questa sorta di pretesa di essere un'opera d'arte vivente le stia un po' rubando la verve di incontenibile baraccona che la caratterizzava all'inizio. Voglio dire, una volta GaGa arrivava sul palco con uno scettro lunare di Sailor Moon e degli occhiali ai LED che emettevano a intermittenza la parola "pop". Era adorabile.
Oggi, si fa il red carpet dei Grammy dentro un uovo, perché ha il Formichetti Factor, e dopo la performance rivela di essere stata dentro quell'utero per 72 ore di fila, in modo da pensare al vero significato della sua canzone Born This Way e a come condividerla col pubblico.
Amore mio, non sei Youri Messen-Jaschin. Sei favolosa, ma sei pur sempre una che vende milioni di dischi al suono di "Ga-Ga-Ooh-La-La".

Io adoro le contaminazioni pop, ma diciamo che inizio a farmi girare le palle quando si sente tutto questo bisogno di didascalizzare l'arte. Alla fine, per carità c'è molto di GaGa, ma ho un po' come l'impressione che il Formichetti Factor la stia convincendo che essere una baraccona e basta non è sufficiente, bisogna essere una "artista".
Nessuno stylist si è mai preso tante confidenze con una come Madonna, per dire. Sì, il fior fiore del fashion ha lavorato con lei, ma non leggevi mai da nessuna parte "Madonna e Pinco Pallo". Era Madonna, e il resto nella sua ombra.
Britney Spears, per dire, ha sempre vestito come una gattara che sta andando a comprare il Whiskas, ma per diventare un'icona di stile trasgressivo le è bastato strafarsi di ansiolitici, uscire di casa, andare a rasarsi a zero in una bettola sul Sunset Boulevard e sfasciare una jeep con un ombrello comprato a 9,90.
Non lo so, forse non capisco io. Quindi chiedo al pubblico indie e avantissimo di Chains & Heels: Nicola Formichetti è un genio?
Per concludere il discorso, pubblicherei due bei video: una delle primissime performance live di Lady GaGa, e l'ultima, quella ai Grammy 2011.




popslut

JAMES FRANCO Travestito



La Disney ha in cantiere il progetto per il prequel del Mago di Oz. La regia sarà affidata a Sam Raimi, regista di alcune perle della cinematografia horror anni '80 come La Casa, La Casa 2 e L'Armata delle Tenebre, ma anche regista dei tre titoli che vedono come protagonista Peter Parker, alias Spiderman.La trama di questo prequel vedrebbe come protagonista un giovane che, per sbaglio arrivato nel magico e misterioso mondo di Oz, si spaccerà per un sapiente e potente mago, il titolo è già pronto: "Oz, the Great and Powerful". Il problema è nel protagonista: dopo il rifiuto di Johnny Depp, la Disney si era rivolta a Robert Downey Jr., il quale ha però declinato l'offerta. Giorni fa è uscito fuori il nome di uno dei giovani attori più impegnati (e bravi) al momento a Hollywood: (quel gran figo di) James Franco.La notizia non è ancora accertata. Aspettiamo di vedere il bel Franco alle prese con la presentazione della notte più importante del cinema, gli Oscar, e in sala con 127 Ore (di Danny Boyle e candidato ai prossimi Oscar) poi sapremo se accorere tutti nelle sale per vederlo alle prese con la malvagia (manco tanto per chi ha avuto la fortuna di vedere Wicked o leggere il libro dal quale il musical è tratto) Strega dell'Ovest.Intanto godetevelo in tutta la sua raggiante bellezza in alcuni scatti firmati Terry Richardson per la controversa rivista di moda "Candy".

KynoEye

"Mick Jagger - The Photobook", a Roma



Con i suoi Rolling Stones ha sempre interpretato il mito del rock per eccellenza (sesso, droga, rock‘n’roll), rappresentando gli eccessi, gli scandali, le trasgressioni di un’epoca. Mick Jagger è stato (e lo è ancora oggi) un personaggio carismatico, dal volto rude, mutevole, segnato dai vizi, un maschio dagli atteggiamenti effeminati, capace di sovvertire tutti i conformismi della società, dagli anni sessanta in poi. Naturale, quindi, che uno come lui ispirasse milioni di fans adoranti e catturasse allo stesso tempo l’attenzione dei più importanti fotografi di tutti i tempi! Cecile Beaton, Dominique Tarlè, Annie Leibovitz, Herb Ritts, Anton Corbijn (e altri ancora) hanno tutti immortalato la sua essenza e quella del rock, e ora, tutte le foto vengono raccolte in una mostra, “Mick Jagger – The Photobook”, che, dal 22 febbraio fino al 27 marzo, si terrà all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
Per maggiori informazioni visitate il sito http://www.auditorium.com/eventi/mostre

The Brown

sabato 19 febbraio 2011

Karl Lagerfeld al Chiostro del Bramante, Roma


Inaugurata il 16 Febbraio, il Chiostro del Bramante ospiterà la mostra di Karl Lagerfeld fotografo fino al 10 Aprile 2011. La mostra si comporrebbe di due macrosezioni, una dedicata alle foto più di routine e l'altra alle foto più sperimentali.

Per maggiori info: www.chiostrodelbramante.it

martedì 15 febbraio 2011

Roma (ri)scopre il punk


Sono passati 35 anni da quando il punk, partito dall’Inghiilterra, da Londra, “invase” ed influenzò l’intera cultura europea, continuando, in realtà, ancora oggi. La musica, ovviamente, il cinema, la moda, la letteratura e le arti visive risentirono tutte di questo nuovo evento.

E proprio sulle arti visive si concentra “EUROPUNK”, la mostra inaugurata il 21 gennaio e che si concluderà il 20 marzo nella fantastica cornice dell’Accademia di Francia di Roma a Villa Medici. Curata da Eric de Chassey, in collaborazione con Fabrice Stroun, curatore indipendente associato al MAMCO di Ginevra, la mostra ha lo scopo di far scoprire e capire come la controcultura del punk cercasse di portare un profondo rinnovamento culturale, caratterizzato dal “do it yourself” e da una grande libertà creativa. Si comincia con il primo passaggio televisivo dei Sex Pistols nel 1976 al programma “So It Goes” per chiudere con quello dei Joy Division sulla BBC nel 1979, e prenderà in considerazione la produzione di Regno Unito e Francia in particolar modo, ma anche di Germania, Svizzera, Italia e Olanda. Potrete vedere opere di Jamie Reid (colui che inventò il volto della regina con gli occhi e la bocca coperti dal nome dei Sex Pistols e dal titolo della loro canzone “God Save the Queen”), o del team francese Bazooka (costituito da Olivia Clavel, Lulu Larsen, Kiki Picasso, Ti-5-Dur, Bernard Vidal e Jean Rouzaud). Una grande quantità di materiali (noti e meno noti, alcuni anche inediti fino ad ora), comprendenti più di 550 oggetti tra abiti, fanzine, poster, volantini, disegni, collages, cover di dischi, filmati… Verranno inoltre presentati anche due progetti site specific di quattro artisti (Francis Baudevin, Stéphane Dafflon, Philippe Decrauzat, Scott King).

Per maggiori informazioni su biglietti, orari ed iniziative correlate vi rimando al sito dell’Accademia di Francia http://villamedici.it/

The Brown

lunedì 14 febbraio 2011

Esben and the Witch: il ritorno della Cold Wave?


In tempo di guerre fra reginette pop, giá vinte e giá perse, noi abbiamo preferito concentrarci su qualcosa di più (o)scuro.
Si chiamano Esben and The Witch, sono di Brighton (città che ha visto nascere Fat Boy Slim, Bat for Lashes e The Kooks, per dirne qualcuno), e prendono il loro nome da una favola di origine danese.
Il mese scorso è uscito il loro album di debutto Violet Cries, dopo un Ep di lancio che fece molto parlare al di là della Manica.
Sonorità (neo)gotiche, cupe, accentuate da echi e riverberi, da elettronica e chitarre, un'atmosfera di magica e fredda oscurità che si diffonde in tutte le tracce dell'album, come se la voce di Rachel Davies e l'accompagnamento dei suoi due colleghi fossero l'evoluzione esatta di una Florence Welch solo molto più pessimista e dark (Marching Song e Light Streams).
C'è chi li ha identificati come Bat for Lashes per adulti (Marine Fields Glow), chi ci ha sentito una Bjork più austera e arcigna (Hexagons VI e Chorea).
Noi sappiamo solo che sentendo questo album, a nostro giudizio ottimo, abbiamo la netta impressione di levitare e che il canto della Davies sia molto piu vicino alle sirene, quelle di origine ellenica che attiravano a sè gli uomini con il loro canto e poi ne mangiavano i corpi (sentire Eumenides e crederete).

KinoEye

sabato 12 febbraio 2011

Tying Tiffany live @ Circolo degli Artisti : nessuna suicide girl è stata maltrattata durante la stesura di questa recensione.

















E' il progetto GlamnightLive, nato nel 2010 dalle brillanti menti di Flavia Lazzarini, Marco Longo e Francesco Mirabelli (Paconazim), a riportarci un pò indietro in quel lasso temporale breve ed intenso in cui tutto era rigorosamente New Wave e la musica Ebm sfondava le casse. Poi, la svolta electroclash e le frangette diventeranno nere e corte.

L'atmosfera che ci accoglie è quella di un Circolo degli Artisti decisamente evoluto. Verso le 22.30 la sala principale comincia a riscaldarsi con il gruppo spalla Spiral 69 (capeggiato da Riccardo Sabetti). Sono lì a presentare il loro nuovo album No Paint on the Wall. Dobbiamo essere sinceri, non li conoscevamo, ma ci hanno piacevolmente colpito. Sì, il sound era di buon livello e con quella nota dark che non ci dispiace per nulla.

Circa 10 minuti di stacco e poi ecco che arriva lei.

Saltiamo le consuete introduzioni pseudo biografiche ed i soliti riferimenti ridicoli a questa/quell’altra band (possibilmente di almeno 30 anni fa, che suona più credibile) ed andiamo subito al punto: “Peoples Temple”, nuovo disco di Tying Tiffany è, a primo ascolto, davvero tanto ma tanto carino. Carino. Il compito è ben fatto, non fa praticamente una piega, è chiara la ricerca della svolta a tratti verso il darkE come del resto la copertina, sempre un belvedere, ci suggerisce. Dal sito della stessa leggiamo : “TT è cresciuta moltissimo e riesce a realizzare un album in cui ridefinisce i pattern propri del dark e della new wave degli 80ies alla luce del suo originale modo di intendere il pop: confortevole e innovativo al tempo stesso.” Si. C’è scritto davvero così.

Il live è decisamente piacevole e TT fa quello che deve fare, tutti scattano foto e pensano che è una roba troppo ma troppo avanti, del tipo che “domani mi scarico troppo tutte le canzoni poi vado da American Apparel e mi compro quei leggins pure io”. Un’ora buona, pezzi nuovi più i vari immancabili I wanna be your mp3 e I’m not a peach. No, Pazza non l’ha fatta. Buona la cover di School dei Nirvana, davvero. Tutto quanto suona e sembra talmente fedele al suo intento, che io sto già pensando che domani devo assolutamente andare alla posta a pagare il gas prima di fare la spesa (scorro lista mentalmente). No dai, riformulo la frase: tutto quanto suona e sembra talmente fedele al suo intento, che viene spontaneo pensare che il trucco - o deus ex machina, se preferite - c’è, si vede di brutto e probabilmente è il trucco più vecchio del mondo ma va bene. O meglio, non va bene ma è lo stesso.


Napalm Karenina



venerdì 11 febbraio 2011

RITUAL, il nuovo album dei White Lies


Due anni fa con “To Lose My Life” rappresentarono davvero un caso, andando subito al successo, critica e pubblico impazzirono per loro. I White Lies erano destinati ad una carriera sfolgorante e soprattutto a dare una sferzata al genere new wave e post punk britannico. Ed infatti l’album era prodotto davvero bene, i singoli erano azzeccati, le sonorità studiate e riuscite, ogni traccia lasciava davvero il segno (io molte ce l’ho ancora nel mio iPod, tanto per dire). Partirono subito i paragoni illustri (Depeche Mode, The Sound, Joy Division) o con band contemporanee (Editors, Interpol), e i nostri tre giovanotti non delusero affatto.

Era ovvio dunque aspettarsi molto dal loro secondo lavoro, l’attesa è stata davvero tanta, per fans, per amanti del genere e per i loro detrattori. E così, agli inizi di gennaio, ecco arrivare “Ritual”, anticipato dal singolo (bello) “Bigger Than Us”. Che dire di questo secondo capitolo della loro carriera: ovviamente nessuno mette in discussione le capacità del gruppo, anzi, i White Lies ci sanno fare. Eppure “Ritual” ti lascia un po’ con l’amaro in bocca, non ti soddisfa del tutto. L’album, come dire, non aggiunge nulla e non sviluppa il loro stile (che resta comunque unico) e la loro musica, nonostante un avvicinamento all’elettronica. Ma, appunto, si tratta solo di un avvicinamento, null’altro, un tentativo, ma non c’è quello step e forse quella volontà di evolvere, quel passo necessario ad un ulteriore miglioramento. Ci sono certamente delle canzoni molto notevoli, “Holy Ghost”, “Turn the Bells”, “Strangers”, ma per il resto è tutto già sentito (anche nell’album precedente), un po’ noioso. Il risultato, dunque, sembra piuttosto mediocre, o forse lo è per davvero.

Mentre “To Lose My Life” con un ascolto ti catturava, ti restava in testa e ti colpiva (sonorità anni ’80 riarrangiate in maniera così accorta non era affatto poca cosa), “Ritual”, invece, devi ascoltarlo più volte per capirlo, ma di certo non ti impressiona.

In ogni caso vale comunque la pena di vedere i loro live, e sarà possibile il 12 marzo all’Estragon di Bologna per l’unica data italiana.

The Brown

mercoledì 9 febbraio 2011

Torna Adele. E incanta.


“21”, il secondo album di Adele, è un ottimo disco. Potrebbe bastare ciò per recensire questo gioiellino mangia record, ma forse qualche discorsetto va fatto. Di solito i secondi album sono quasi sempre una noia, questo no. Adele, reduce dal successo internazionale di “19”, e soprattutto di “Chasing pavements”, poteva rischiare, come tutti gli artisti, di ripetersi e ricopiarsi (vedi Duffy). Invece non lo fa, e prende tutta un’altra direzione. Tocca a Rick Rubin (produttore famosissimo, già al lavoro con Red Hot Chili Peppers, Mick Jagger, Mel C e Gossip) dare la svolta country che Adele voleva e di cui si è innamorata girando l’America durante il suo primo tour promozionale. E Rubin non delude affatto.
“Rolling in the deep” ha l’arduo compito di aprire le danze. E’ forse una delle scelte più giuste e coerenti. Il testo è rabbioso, l’interpetazione precisa ed emozionata, il video che l’accompagna sublime, di classe. Ottima prova. Così tutti quelli che avevano il dubbio che la cantante si rifacesse ad Amy Winehouse (ma senza l’alcool) possono tranquillamente zittire (io, per esempio, adoro i cori e i tamburi). “Don’t you remember” è la classica ballata country contemporanea. “He won’t go” si classifica come uno dei migliori pezzi di tutto il disco: il pianoforte e le percussioni tessono la trama, in cui la voce soul di Adele si inserisce alla perfezione. Non dispiace nemmeno il blues di “One and only”, mentre la cover dei Cure, “Lovesong”, già sentita e risentita, forse è il pezzo meno convincente di tutta l’operazione. Perfetta “Take it all”, perfetta Adele, l’arrangiamento scarno, ma sublime e il coro sui ritornelli alza il livello e tutto diventa più intenso. Non mancano le ballads da classifica, “Set the fire to the rain”, “Turning tables”, “Someone like you”. Adele non annoia, e gli arrangiamenti sono talmente costruiti bene che queste canzoni potranno diventare sicuramente delle hit.
“21” è un album incavolato, ruvido, ma anche positivo ed ironico. Adele è cresciuta ed ha una sua collocazione credibile. Il numero 21 si riferisce alla sua età mentre scriveva questi pezzi (così come era accaduto nel primo disco, 19), e fotografa in pieno i caratteri diversi che convivono nella sua voce.
Già vincitrice di due Grammy, con questo lavoro ci si attende la consacrazione. Le classifiche l’hanno già premiata. E anche noi, nell’attesa di farci incantare dai suoi live.

Annabelle Bronstein

Today, I was thinking about Nick Knight
































































Oltre al moto irrefrenabile di invidia che provo nei confronti del talento di questo fotografo, stavo pensando anche a quello che sta facendo per Lady Gaga. Le farò a questo punto una domanda: Brutta stronza, ma almeno sei consapevole che stai per diventare un' icona? Sei consapevole che dovrai regalare ai tuoi fan almeno 20 anni di carriera e di singoli strepitosi?
Ok, vado ad ascoltare True Blue





Rooge








lunedì 7 febbraio 2011

BESTIVAL 2011


Era da giorni che mi chiedevo se i The Cure si sarebbero mai più esibiti prima che io fossi passato a miglior vita( o io o loro insomma)...Ebbene il Bestival 2011 sarà l'occasione in cui vedrò per la prima volta la mia band preferita, e quando dico "band preferita" lo dico con un tono malinconico adolescenziale che mi fa uscire una scabbia psicosomatica istantanea.
L'ormai noto e pluripremiato Festival musicale britannico vedrà sul suo palco oltre a Robert Smith e co. anche altri artisti non di poco conto: Robyn, Primal Scream, Crystal Castles, Boys Noize, Cranes, LFO (non quelli di Girl on Tv eh), Norman Jay...e molti altri ancora...


Rooge