
Cartoni animati e immagini di guerra. Niente di più antitetico penserete. E in effetti è davvero così. Ma proprio in virtù di questa semplice quanto oggettiva premessa, Max Papeschi ha fondato il suo stile e, diciamocelo, anche la sua fama e la sua fortuna.
Papeschi nasce come regista teatrale e cinematografico e approda al mondo dell’arte (della digital art) in maniera quasi casuale (in un’intervista lui stesso dice che serve sì l’ispirazione, ma “senza un po’ di culo non si va da nessuna parte”, testuali parole). Ovvio, però, che occorre anche una buona idea, che possa far arrivare alle persone quello che si vuole esprimere. E il modo che l’artista sceglie per ottenere ciò è l’irriverenza, l’ironia, il politicamente scorretto. Prendendo dunque i personaggi dei cartoni e dei fumetti (quelli del mondo Disney, ad esempio e in particolar modo, o i Muppets), o comunque i classici simboli del “bene”, Papeschi li catapulta in una dimensione completamente diversa dalla loro abituale e li associa a immagini di guerra e di violenza, o a personaggi “scomodi”, che hanno caratterizzato l’epoca moderna e contemporanea. Così Mickey Mouse diventa un nazista, Paperino un soldato, Duffy Duck un comunista russo, Ronald McDonald combatte a Baghdad. L’effetto che si ottiene è sbalorditivo, sconvolgente, volutamente provocatorio, ma di sicuro impatto, e trasforma radicalmente un simbolo rassicurante (i cartoni appunto), rendendolo esempio dei vizi e delle brutture dell’essere umano di oggi.
Le opere di Papeschi ora tornano a Roma, dal 26 febbraio al 3 aprile, alla Mondo Bizzarro Gallery, per la mostra “A LIFE less Ordinary”. Un’esposizione in cui l’artista presenta una serie di immagini che prendono come spunto grafico la rivista LIFE e ci raccontano, sempre a suo modo, la storia degli ultimi 25 anni. Qui troverete sicuramente più informazioni sull’evento http://mondobizzarrogallery.com/home.asp.
Quelli di Max Papeschi sono sicuramente dei lavori discussi (per alcuni discutibili), a volte al limite della censura, ma se questo serve a far riflettere i più (forse l’utilizzo di immagini pop è dovuto anche a questo), beh, ben venga.
The Brown
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