La musica dei Salem non ha nulla di bello. Sarebbe anche abbastanza scontato definirla “evocativa”. E’ musica che affonda le sue radici in un cattivo, anzi, cattivissimo presagio, che di rassicurante non promette un bel niente, nemmeno quando la melodia tenta di affacciarsi dal muro solido e nero deisynths impastati, densi ed inesorabilmente in minore.
Tre "ex" eroinomani del Michigan, John Holland, Jack Donoghue e HeatherMarlatt, stasera sono qui all’Init anticipati dalla sgradevole seppur inevitabile aura hype (bleah) che circonda il loro debutto “King Night” (talmente hype che Riccardo Tisci ha voluto la title track come parte della colonna sonora per la presentazione della sua collezione P/E 2011 per Givenchy).
Sappiamo bene che probabilmente nessuno di noi sarebbe qui stasera, Salem compresi, se non fosse per quel duo di Toronto di cui non farò il nome e con cui il confronto è davvero inevitabile, vuoi per le sonorità a tratti simili, vuoi per la stessa spocchia che generalmente caratterizza il pubblico annesso, me compresa. Il confronto, tanto per la cronaca, non regge e non c’è storia,
anche se i Salem tutto sono fuorché banali: dai tentativi di rap trascinato e distorto, ai toni cupi ma allo stesso tempo maestosi dei sintetizzatori, fino al contrasto dei rullanti secchi con armonie vocali quasi corali, da cattedrale degli orrori, tanto da aver battezzato un genere: witch house.
Mai sopra i 100 bpm, bassi gonfiati al massimo, dal vivo il tutto sembra ancora più rallentato e lugubre che su disco, sarà anche per l'aria totalmente catatonica dei tre, quasi preoccupante nel caso di Heather Marlatt.
Mezz'ora appena ed è tutto finito, di bis non se ne parla nemmeno. Brutti sogni garantiti per tutti però.
Napalm Karenina
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