Non una giovane donna (solo 24 anni all’anagrafe), ma un essere soprannaturale in sembianze femminili si è palesato ieri al non del tutto pieno Auditorium di Roma.
Florence (Welch) + the Machine.
Scalza, con una leggera veste bianca, pelle trasparente e capelli rosso sangue.
Un concerto ed un evento mistico. Un’atmosfera a tratti intimistica e individuale ed a tratti collettiva. Ipnotica, ammaliatrice, figlia della terra e dell’aria. Dea madre e allo stesso tempo Strega.
Una voce che dal vivo è superiore a quella registrata. Una musica che travolge e ti trattiene, sanguigna, viscerale come i battiti del cuore e il respiro dei polmoni. È fisico, corpo.
Azzardiamo: sembrerebbe prendere spunto da quel filone di musica anglosassone che discende da sonorità celtiche, divine come Loorena MacKennitt ma molto più contemporanea e contaminata con gocce di Soul, se vogliamo dire. Si sente una matrice nella musica e nelle canzoni di Florence, un filo conduttore che nasce nel suo paese, l’Inghilterra, e nella sua cultura più vera, che si è manifestata nei secoli attraverso la poesia e la letteratura.
Florence and the Machine ne sono consapevoli e trasformano quel tipo circoscritto di arte in una nuova forma.
Prendete ad esempio “Howl” il testo è già abbastanza esplicito, non necessita di spiegazioni, sembrerebbe essere la colonna sonora adatta ad una messa in scena di “Cleansed” (“Purificati”) della (purtroppo) scomparsa Sarah Kane. Sangue, maleficio, bestialità, corpi. Sonorità travolgente e devastante, ipnotica, come il teatro della Kane. O se vogliamo, rimanda in qualche modo a un ricordo antico di quel primo teatro elisabettiano fatto di violenza. Sinonimo di percussione.
O ancora prendiamo “Cosmic Love” e prendiamo “Wuthering Heights” di Emily Brontë. Qui la voce di Florence sembra essere la voce che si perde nella brughiera inglese e The Machine la tempesta, dalla quale quella Voce (nel romanzo) scaturisce all’esterno, che è poi l’essenza piú semplice dell’essere umano: il battito cardiaco.
Le parole finiscono e il respiro si mozza.
Kinoeye feat. the Brown
Florence (Welch) + the Machine.
Scalza, con una leggera veste bianca, pelle trasparente e capelli rosso sangue.
Un concerto ed un evento mistico. Un’atmosfera a tratti intimistica e individuale ed a tratti collettiva. Ipnotica, ammaliatrice, figlia della terra e dell’aria. Dea madre e allo stesso tempo Strega.
Una voce che dal vivo è superiore a quella registrata. Una musica che travolge e ti trattiene, sanguigna, viscerale come i battiti del cuore e il respiro dei polmoni. È fisico, corpo.
Azzardiamo: sembrerebbe prendere spunto da quel filone di musica anglosassone che discende da sonorità celtiche, divine come Loorena MacKennitt ma molto più contemporanea e contaminata con gocce di Soul, se vogliamo dire. Si sente una matrice nella musica e nelle canzoni di Florence, un filo conduttore che nasce nel suo paese, l’Inghilterra, e nella sua cultura più vera, che si è manifestata nei secoli attraverso la poesia e la letteratura.
Florence and the Machine ne sono consapevoli e trasformano quel tipo circoscritto di arte in una nuova forma.
Prendete ad esempio “Howl” il testo è già abbastanza esplicito, non necessita di spiegazioni, sembrerebbe essere la colonna sonora adatta ad una messa in scena di “Cleansed” (“Purificati”) della (purtroppo) scomparsa Sarah Kane. Sangue, maleficio, bestialità, corpi. Sonorità travolgente e devastante, ipnotica, come il teatro della Kane. O se vogliamo, rimanda in qualche modo a un ricordo antico di quel primo teatro elisabettiano fatto di violenza. Sinonimo di percussione.
O ancora prendiamo “Cosmic Love” e prendiamo “Wuthering Heights” di Emily Brontë. Qui la voce di Florence sembra essere la voce che si perde nella brughiera inglese e The Machine la tempesta, dalla quale quella Voce (nel romanzo) scaturisce all’esterno, che è poi l’essenza piú semplice dell’essere umano: il battito cardiaco.
Le parole finiscono e il respiro si mozza.
Kinoeye feat. the Brown
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