Quando NME include il tuo album di debutto tra i 50 migliori dischi del decennio, realizzare un degno successore diventa una sfida mica da ridere. Il bello è che il capolavoro in questione non si trattava nemmeno di un album vero e proprio, ma di una sorta di raccolta di 7’’, concretizzata dopo un anno e mezzo circa di un tour estenuante seguito all’uscita del primo ormai leggendario singolo ‘Alice Practice’, una registrazione di prova piazzata in rete che li ha consacrati a band di culto e li ha messi sulla bocca dei circuiti indie di mezzo mondo.
Il secondo capitolo, anch’esso senza un titolo, nasce invece come album ‘tradizionalmente’ inteso: 14 tracce pensate e realizzate al fine di trovarsi coerentemente sullo stesso supporto. Il linguaggio e l’atmosfera sono gli stessi, ma Ethan Kath (synth, programming, samples e dio sa cos’altro ancora) ed Alice Glass (microfono, voce e spesso solo presenza che si avverte appena, ma in quel modo straordinariamente intenso con cui si avvertono i fantasmi) fan sembrare il ‘già sentito’ un qualcosa di cui sentivamo davvero il bisogno. Perchè è lecito ripetersi, quando si ha qualcosa di molto interessante da dire: campionamenti selvaggi come sempre (god bless thrash, se questo è thrash!), micro-arpeggi 8bit (‘Intimate’), spaventose distorsioni ed accelerazioni hardcore (‘Doe Deer’). Il tutto unito ad un eccellente uso del Microkorg e degli effetti vocali: la voce di Alice, diluita dal riverbero, sembra provenire da un posto lontano e spesso è un posto in cui speri di non doverti trovare mai (‘Fainting Spells’, ‘I Am Made of Chalk’).
Sebbene questo disco sia, per alcuni aspetti, il negativo speculare del precedente (‘Baptism’ è la nuova ‘Through the Hosiery’, ‘Year of Silence’ la nuova ‘Air War’ - stavolta niente bambini demoniaci, ma ‘soltanto’ i Sigur Rós campionati - ma l’equazione potrebbe continuare), i Crystal Castles non fanno per nulla rimpiangere la ricerca della svolta compositiva ad ogni costo, che ha spesso ingannato molte delle band indie(sposte) tanto coccolate da NME, Pitchfork e soci.
Napalm Karenina
Il secondo capitolo, anch’esso senza un titolo, nasce invece come album ‘tradizionalmente’ inteso: 14 tracce pensate e realizzate al fine di trovarsi coerentemente sullo stesso supporto. Il linguaggio e l’atmosfera sono gli stessi, ma Ethan Kath (synth, programming, samples e dio sa cos’altro ancora) ed Alice Glass (microfono, voce e spesso solo presenza che si avverte appena, ma in quel modo straordinariamente intenso con cui si avvertono i fantasmi) fan sembrare il ‘già sentito’ un qualcosa di cui sentivamo davvero il bisogno. Perchè è lecito ripetersi, quando si ha qualcosa di molto interessante da dire: campionamenti selvaggi come sempre (god bless thrash, se questo è thrash!), micro-arpeggi 8bit (‘Intimate’), spaventose distorsioni ed accelerazioni hardcore (‘Doe Deer’). Il tutto unito ad un eccellente uso del Microkorg e degli effetti vocali: la voce di Alice, diluita dal riverbero, sembra provenire da un posto lontano e spesso è un posto in cui speri di non doverti trovare mai (‘Fainting Spells’, ‘I Am Made of Chalk’).
Sebbene questo disco sia, per alcuni aspetti, il negativo speculare del precedente (‘Baptism’ è la nuova ‘Through the Hosiery’, ‘Year of Silence’ la nuova ‘Air War’ - stavolta niente bambini demoniaci, ma ‘soltanto’ i Sigur Rós campionati - ma l’equazione potrebbe continuare), i Crystal Castles non fanno per nulla rimpiangere la ricerca della svolta compositiva ad ogni costo, che ha spesso ingannato molte delle band indie(sposte) tanto coccolate da NME, Pitchfork e soci.
Napalm Karenina
fighi loro...figa la recensione
RispondiElimina